In un castello lontano lontano, dove d'inverno gela e l'estate è fresca, ci stava la principessa
Libuse, che aveva la fama di avere una tale bellezza da far sognare molti uomini che la volevano con sé e che avrebbero desiderato governare insieme a lei quell'angolo di terra dalla natura
incontaminata. Ma tutti questi valorosi cavalieri rimanevano sempre a bocca asciutta, qualcuno perché veniva
semplicemente rifiutato dalla principessa
Libuse e qualcun altro perché fuggiva per il suo
insopportabile temperamento. E così faceva anche tutta la servitù , perché tutti i lavori che facevano non andavano mai bene e finiva per diventare anche manesca.
Mano a mano che tutti se ne andavano, la giovane principessa non sapeva più come organizzare l'accoglienza dei virtuosi, o forse no, cavalieri, i quali dovevano ed esigevano di essere accolti come tradizione
consuetudinaria dettava, dalle camere pronte che stavano giù nella casa del cortile di
mistamento delle carrozze, ai pasti.
Libuse, da un po' di tempo, aveva predisposto che i giorni di
pernottamento dei cavalieri dovessero essere in totale quindici una volta al mese e che durante questi giorni lei li avrebbe dovuti conoscere uno per uno, li avrebbe passati al setaccio passandoci del tempo insieme. Il risultato era che loro si sarebbero sfidati a chi più garbava alla principessa e a chi era più forte e valoroso, prova da dimostrare tra gli ultimi due finalisti che si sarebbero sfidati a cavallo. Il fatto è che ancora nessuno era riuscito ad arrivare al duello finale perché o si stancavano di piacere alla principessa, o venivano invitati ad andarsene.
Una delle prove preferite da
Libuse era la cena a lume di candela dove i due avrebbero parlato di varie cose, mangiato e ballato, ma chissà perché qualcosa non andava mai per il verso giusto. La colpa non era certo dei facoltosi pretendenti che facevano sfoggio delle loro più prestigiose doti, dalla cultura letteraria, storica, artistica, teatrale, alla conoscenza delle lingue importanti per governare il regno nel mondo; e c'era chi si dilungava nell'arte del riso, per farla ridere, e chi si era preparato per ballare un ballo sensuale magari portandosi appresso i propri musici quando quelli della principessa non c'erano più. Ma per lei c'era sempre lo strabico, il claudicante, lo zotico, il logorroico, il membro della piccola nobiltà, chi non era afferrato in quello che lei avrebbe ardito fosse. Quando qualcuno poteva averle fatto una buona impressione, aveva scelto una musica che a lei non piaceva. O aveva una piccola macchia nel colletto. Ciò che lei pensava in quei momenti non esitava a non tenerselo per sé e glielo faceva capire e per questo, appena pensavano che cosa sarebbe stata una vita di fianco a una regina del genere, loro scappavano. C'era sempre nel servizio della cena qualcosa che non andava, i calici, le posate, o il cibo o la musica.
- Le ho detto, mio servo, che questo servizio di porcellana è per il venerdì e non per oggi che è giovedì!-
- Principessa, veramente lei aveva detto che il servizio verde era per il venerdì, mentre questo è quello del giovedì-
- Cosa dice, oggi vedo il giovedì verde e quindi voglio il verde nella mia tavola!-
E ancora:
- In questo bicchiere c'è qualcosa che galleggia! Si vergogni, è suo compito accertarsi che non accada questo. Lei è licenziato!-
E quando licenziò i giardinieri:
- Come avete osato far morire le mie rose?-
- Principessa, le rose d'inverno non fioriscono e lei ha disposto di non mettere nessuna serra nel suo giardino, magari se ci fosse...-
- Ma sta scherzando? Le serre nel mio parco? Non sono la baronessa, questo è un giardino reale.-
Non si tratteneva anche se era in compagnia del più nobile dei cavalieri. E fu così che tutti, dai cuochi ai giardinieri, la lasciarono sola preferendo lavorare per altre prestigiose corti e per altri prestigiosi sovrani.
Quando se ne andò tutta la servitù, si propagò la voce che piuttosto di lavorare per la principessa
Libuse, era meglio una qualsiasi altra villa di una qualsiasi casata di pianura e che per la sua cattiveria, la principessa non riusciva a trovare un re per i suoi sudditi. Così nessuno andò più a rimpiazzare i maggiordomi, i camerieri, i cuochi, e i giardinai, lasciandola sola a gestire l'andirivieni di cavalieri da accogliere con il dovuto galateo, impresa assai impossibile anche perché, quelle cose lei non le aveva fatte mai. Così, i cavalieri al loro arrivo trovarono i letti sfatti e sudati dagli altri, si trovarono a dover saltare i pasti perché non erano pronti e dovettero rimediare con il pane, burro e i vini della loro provenienze, finché se ne andarono offesi per non aver ricevuto un'accoglienza diplomatica adeguata.
La principessa fu costretta a chiudere le porte e a mandare un comunicato per bloccare tutti gli incontri in attesa di nuovo personale. Le porte si aprivano solo per i
collaboratori che
amministravano gli affari di Stato solo quando
strettamente necessario. Ma questo personale non arrivava più, tanto si era sparsa la voce che la principessa era una manesca.
In realtà era lei ad organizzare quei giochi di visite al castello per rimanere impegnata, riempire il suo tempo e conoscere tante cose delle tante genti per poi potersi innamorare solo di uno, proprio come lo voleva lei, che potesse fare il suo re. Ma nel contempo non voleva tollerare molte cose.
Arrivò un altro inverno che passò nel castello
completamente sola,
arrabbiandosi perché i mestieri non erano pronti e piangendo a squarcia gola, perché in realtà non voleva che le cose andassero così. Lo
status di
insoddisfazione aveva tradito tutti i suoi programmi di presunta perfezione e stava continuando a dilaniarle l'anima.
Una sera piovosa di questo freddo inverno, passò di lì qualcuno, una persona o qualcosa d'altro non si sa, che era riuscito ad entrare dalle mura e che iniziò a pernottare in maniera sommessa dentro le casupole che prima venivano usate dalla servitù. La notte seguente, l'occupante fu sorpreso di sentire il suono di una sirena provenire dal castello, che certamente era il lamento libero di una persona che non credeva di essere udita. Così sfoderò qualcosa dalla saccoccia, un violino, che iniziò a
strimpellare per coprire e
accompagnare il lamento; il suo suono arrivò fino al castello lieve, sottile sottile ad
intermittenza, perché quella notte c'era vento e non pioveva. Ma le onde sonore si spostavano a seconda del vento e non del ritmo della principessa, così ella si accorse che il suo pianto era più lungo ed armonioso del solito. Lì per lì on ci fece caso, le sembrava un'impressione poco importante, ma poi il fenomeno si ripeté e così non fece altro che fermarsi ad ascoltare. Il violino smise anche lui di suonare dato che doveva seguire il lamento, così la principessa
Libuse ricominciò il suo pianto per poterlo finire quando avrebbe smarrito tutte le forze. Ma in quel momento iniziò a pensare che forse la sua
disperazione poteva avere anche un altro suono dato che era certa di averlo sentito, quindi iniziò a piangere con meno dedizione tenendo un orecchio altrove e giurò di risentire quel suono. In quell' istante si mise a pensare che nel castello
c' erano lei e la sua voce come se fossero le sole due uniche presenze, e si mise a cambiare tonalità iniziando ad intonare qualche nota come le sembrava quel eco melodioso.
Il violinista a questo punto si dovette adeguare al cambio di rotta e seguire le nuove
disposizioni, e ci aveva anche preso del gusto da prenderlo sul serio, perché suonare il violino era la sua specialità; ma non si accorse quando la principessa smise di lamentarsi
canticchiando perché era esausta . A questo punto la principessa, che si fermò perché era esausta, capì che non era la sua voce ma che
effettivamente c'era qualcuno che suonava e che
probabilmente non era sola nel castello.
Subito incuriosita ed impaurita, cercò di seguire il suono e di andare alla sua origine quando capì che veniva dall'esterno, si fermò sull'uscio e gridò:
- Chi è che suona?-
Il violinista interrotto steccò smettendo al
composizione e dato che era stato colto sul fatto, pensò che forse era il caso di presentarsi e di spiegare perché si trovava lì, però sul momento desistette non sapendo come la principessa l'avrebbe presa, ma alla fine una persona così tanto disperata avrebbe accettato una compagnia innocua. Quindi decise di affacciarsi fuori dal portone. Uscì claudicante a stento e si avvicinò al centro del cortile ancora in penombra; la principessa non capì bene chi aveva davanti, ma capì che non era affatto uno dei cavalieri o
collaboratori di cui era abituata, ma una specie di viandante o giù di lì.
-Come osa presentarsi al mio cospetto, forestiero? Nessuno più può pernottare nel mio castello, non lo sa? Chi è lei?-
- Mi dispiace, illustre signora, ma mi sono accidentato lungo il viale e non avevo posto dove stare per curarmi con questo freddo, e ho visto questo grande patrimonio che pensavo fosse disabitato, così ho pensato di arrangiarmi qui giusto il tempo di guarire la gamba.-
- Lei sta parlando con la governante di questo regno, mi deve chiamare Sua Maestà, sono la principessa dei Minuti Contati
Libuse. Ma pretende che io le creda? E per Dio, mi spaventa pure così nascosto!-
Così si avvicinò pian piano, la principessa vide che teneva in mano il violino e che aveva un grande mantello con cappuccio nero con cui copriva una lunga barba nera e dei grandi occhi scuri che la guardavano puri puri come nessuno aveva mai fatto. Il mantello copriva a stento una fasciatura alla gamba sinistra che esibiva per far vedere il disagio che provava.
-Perché suonava quel violino?-
- E' il mio mestiere.
Vò pel mondo a suonar per borghi dove il tempo chiama. Sto andando verso nord che in primavera i villaggi si riuniscono in festa! Ma le sarei grato, sua Maestà la Principessa, di potermi fermare qualche giorno per medicare la gamba altrimenti non potrò più andare a fare il mio mestiere.-
- Se davvero lei suona il violino e lo suona così bene come mi è parso di sentire, le ordino di farmi ascoltare i pezzi che le chiedo quando vorrò io in qualsiasi momento del giorno o della notte. Per quanto mi possa riguardare lei può stare sconfinato lì in fondo a meno che lei stia al mio servizio.-
- La ringrazio Vostra Maestà, non se ne pentirà. -
- Starà a me dirlo, non le pare? E ora se ne vada.-
Dopo quest'ultima sentenza rientrò nel suo castello e no pianse più. La sola idea che lì in qualche modo c'era qualcuno, la allietava e un po' la inquietava perché comunque era uno sconosciuto.
FINE PRIMA PARTE
CHAGATT