Quando mi ritaglio del tempo per visitare delle mostre, mi aspetto o spero di trovarmi al momento dell'uscita con la sensazione di soddisfazione e tanti input da rielaborare e rimurginare sensorialmente e a livello di pensiero.
Questa mostra, l'attuale del P.zzo Grassi di Venezia, ha centrato perfettamente i propri obiettivi, non i miei. Mostra riuscita direi se l'effetto che mi ha fatto era il suo obiettivo.
La mostra è nata con lo scopo di rappresentare i soggetti dell'arte del periodo 1968 - 2008 e farne notare gli sviluppi. Nelle prime sale traspare una sensibilità anche a volte provocatoria, produzioni di autoritratti ma con qualche nota di riflessione profonda, le lapidi di Salvo autoelogianti, le bandiere del mondo fatte con la terra e la polvere dai colori diversi; si passa poi al tema della rivolta sociale femminista della Manzelli con questa testa di donna nuda bloccata dentro una casa che sbatte contro le pareti, i drammatici schizzi di corpi anoressici. Il Guttuso con "Funerali di Togliatti" tinto di rosso, altri censurati dalla Biennale, poi i video, l'arte povera per poi andare all'utilizzo degli spazi, come "spazio elastico", le foto d'inchiesta sulle lotte sociali e delitti dell'Italia anni '70... Ma ci sono pure le devianze erotiche di un feticista e altre produzioni del soggettivo. Insomma è chiaro lo sradicamento dalle ideologie e la produzione di soggettività per il soggetto stesso che impernia anche nelle nostre singole vite di comuni spazzini, operai, insegnanti, manager, casalinghe/(i?).
Mario Merz -o anche i cadaveri di Cattelan a seconda di dove si preferisca collocarli se all'entrata o alla fine dell'escursus visivo sensoriale- conclude la mostra con le sue parole al neon "la forma scompare alla radice". A me non piace questo rude e bruto -apparentemente bruto- artista torinese d'adozione (che è morto) ma a questa frase ci si potrebbe pensare...
La mostra ha voluto dare visibilità agli artisti italiani che in qualche modo sono finiti nel dimenticatoio o non sono stati considerati egemoni dell'arte contemporanea italiana. Forse per codardia o perché non si ha voglia di ritirare fuori certi momenti della memoria controversa preferendo rivolgere lo sguardo a qualche altro paese. E' triste pensare però che questa mostra è una collezione di François Pinault (proprietario delle grandi griffe di moda) e non di un museo, e c'è un perfetta connessione con il ragionamento appena impostato.
Possiamo capire perché ne sono uscita fredda come quando sono entrata.
Mostra importante.
Nessun commento:
Posta un commento